Codex Venator - I Diari della Tessitrice - Sessione 01
Condividiamo con voi lettori il racconto della prima sessione di Codex Venator, una campagna condivisa della 5ͣedizione del gioco di ruolo più famoso al mondo. Consiste in una serie di avventure collegate tra loro che condividono, appunto, la stessa sottotrama e sono giocate contemporaneamente da più gruppi di gioco presenti in tutta Italia. Noi abbiamo giocato con La Costola dei Barbari di Trieste.
Mi sono risvegliata improvvisamente, distesa su un pavimento in pietra. La testa mi girava, sentivo l’aria stantia, fredda e umida. La prima cosa che sono riuscita a mettere a fuoco è stato un vecchio soffitto a botte in pietra. Poi debolmente mi sono messa a sedere a mettermi a sedere, guardandomi intorno. Accanto a me c’erano altre persone, molte altre persone, tutte che si stavano rialzando, dallo sguardo vacuo e confuso. Il rumore dei cardini arrugginiti di una pesante porta in legno ha attirato improvvisamente la nostra attenzione.
Nella stanza è entrato un uomo robusto, di mezza età, con degli abiti piuttosto appariscenti. Si è presentato come Onofrio Pancisvaldo, capo dell’Inquisizione a Trieste e rappresentante del Dogma. Ci ha spiegato con voce autorevole e tono schietto che siamo stati appena riportati in vita dalle Rimembranti, anche se nessuno di noi sembrava ricordare le circostanze della nostra morte. Una complicazione, un errore nel Rituale della Rimembranza, sosteneva l’uomo di chiesa. Ci ha ordinato senza mezzi termini di recarci nel rione di Barcola, dove sembrano esserci state delle sparizioni. Prima una coppia di giovani, poi un vagabondo e per ultimo una delle sue guardie. Con il passare dei minuti la nebbia che mi attanagliava la mente ha iniziato a dissiparsi e pian piano i ricordi hanno iniziato a riemergere. Siamo Nobili Cacciatori, chiamati a difendere la città di Trieste dai pericoli che si celano fuori dalle mura.Il mio nome è Morgana Padovini, e sono una Nobile Cacciatrice della Famiglia Padovini. Noi siamo i custodi dei Registri Tabulari, designati per tale compito come in virtù della incorruttibilità e la totale dedizione alla legge della nostra famiglia. I nostri corpi sono forgiati da allenamenti quotidiani, agilità ed equilibrio sono il nostro credo. Agili ed equilibrati tanto nei corpi quanto nel pensiero. Non c’è menzogna o incongruenza che ci sfugga, siamo a nostro agio tra i tetti quanto nelle piazze affollate.
Guardandomi intorno ho iniziato a riconoscere delle facce. Ci sono esponenti di tutte le famiglie della nobiltà triestina: i Baseggio, paranoici e tronfi, collusi con il Dogma; i Cigotti, curiosi viaggiatori ed esploratori, anche troppo; i Giuliani, cordiali e onorevoli, ma sempliciotti.
Una volta usciti dalla stanza ci è stato chiesto di recitare nuovamente il giuramento dei Cacciatori, poi ci hanno suddiviso frettolosamente
in gruppi di caccia e ci hanno chiesto di decidere chi avrebbe portato la pistola del capocaccia. Ho lasciato volentieri l’onere a un Giuliani: si riesce meglio ad osservare gli altri
quando non si è al centro dell’attenzione.
Prima di partire per la caccia abbiamo avuto tempo di prepararci, passando nell’armeria per prendere tutto quello che ci sarebbe potuto servire. Avrei tanto voluto farmi un bagno caldo, invece ho sono riuscita solo a darmi una rassettata, rifarmi la treccia e cambiarmi d’abito. Fortunatamente, un servitore della nostra Famiglia aveva portato una delle mie armature in pelle nuova. Le armi tra cui scegliere erano decenti, ma semplici, non certo adatte ad un vero nobile, appena sufficienti al loro scopo. Ho trovato una vecchia balestra pesante, robusta, anche se leggermente sbilanciata. Con una bandoliera me la sono assicurata alla schiena, riempiendo le tasche apposite di quadrelli. Ho preso anche un pugnale e una balestrina a mano, per i casi di emergenza e gli scontri ravvicinati. Mi sono equipaggiata anche di gessetti, un paio di funi, delle biglie metalliche, pergamene con inchiostro, torce, sacchetti di polvere di gesso , campanelle e molti altri oggetti utili per la caccia, e le indagini. Ho stipato accuratamente tutto in uno zaino, comodo e poco ingombrante, adatto ad acrobazie ed arrampicate. Quindi mi sono ritrovata con gli altri membri della mia squadra e siamo saliti su una carrozza diretta verso il rione. La carrozza ha percorso una strada malandata di terra battuta che serpeggia tra muri di pietre a secco, con pesanti assi di legno a chiudere finestre e porte delle case che la costeggiano. Tetti di coppi di pietra, vecchi e instabili, non sono adatti alle corse a cui siamo abituati noi Padovini. Costruito lontano dalla Catena di Ferro che protegge il golfo della Città, il rione si sviluppa sul pendio tra il mare e l’altopiano. Gli edifici vecchi sono intaccati dalla salsedine, la scura e fitta foresta di pini separa l’abitato dalla riva, dove il mare spumeggiante si infrange sugli scogli. Il sole si stava già abbassando pigramente all’orizzonte quando siamo scesi dalla carrozza. Ho pensato dovesse essere una situazione molto urgente se avevano deciso di iniziare la caccia ad un’ora così tarda. Ci trovavamo accanto ad una chiesa, da cui potevo sentire provenire una indistinta litania. Quello era il primo luogo di indagine, dove era stata segnalata la sparizione del vagabondo. Siamo entrati nell’edificio, una solida costruzione con un piccolo porticato sormontato da un grosso lucernario con una vetrata raffigurante San Bartolomeo, il santo a cui è dedicata, con lo sguardo severo ed austero. Nonostante l’urgenza, i Baseggio, come al loro solito, hanno insistito per aspettare la fine della liturgia. Quando infine siamo riusciti a incontrare il parroco, che si è presentato come don Angelo, ci ha riferito frettolosamente poche e vaghe informazioni sul vagabondo scomparso, suggerendo poi di rivolgersi al custode e tuttofare, un tale di nome Joseph. Questi, uno schiavo marchiato a fuoco con il simbolo del Dogma sulla nuca, si è mostrato reticente, ma dopo le opportune pressioni ha deciso di darci qualche informazione utile. Il vagabondo era un halfling, giunto due notti prima chiedendo rifugio, ma era stato scacciato da don Angelo, dato che non aveva nulla da 'donare’ al Dogma in cambio di riparo. Il giorno dopo era sparito, lasciando però lì la sua lacera mantella e delle gallette ammuffite. Ci ha condotto al giaciglio dove si era riparato e, dopo che ho individuato delle piccole tracce di sangue formare un percorso in direzione della pineta, ha aggiunto che il vagabondo era già malato e ferito quando è arrivato. Non riuscendo a trovare altre informazioni utili siamo quindi passati alla seconda sparizione. L’ignominioso comportamento del parroco tuttavia verrà segnalato e riportato a chi di dovere.Attraversando a piedi alcune delle strette vie del rione siamo arrivati rapidamente a 'La Terrazza dell’Imperatrice’, una rinomata locanda con un ampio terrazzo al secondo piano con vista sul golfo.Appena entrati siamo stati accolti da un oste, dall’aria apprezzabilmente ben curata per essere un popolano. Si è presentato come Elia. Con un pessimo tentativo di arruffianarsi la nostra simpatia, ha cercato di offrirci subito da bere. Non ha gradito i miei rimproveri, in quanto durante una Caccia indugiare nei piaceri degli alcolici può portare conseguenze nefaste. Appena gli abbiamo rivolto domande sui giovani scomparsi ha manifestato apertamente disgusto e disappunto. Interrogato in merito ha riferito che due giovani sono spariti tre giorni fa, a suo parere per coronare la loro storia d’amore lontano da Trieste. Era palese che non stesse dicendo tutto, aveva un fastidioso tic all’occhio e continuava a lanciare sguardi alla servitù. Dopo un molto efficace discorsetto ravvicinato da parte di un nerboruto Cigotti, l’oste ha deciso spontaneamente di spiegarci il resto. Cinzia, questo è il nome della halfling scomparsa, si era procurata un profondo taglio alla mano mentre era di servizio in cucina tre notti prima, rovinando così un intero pentolone di stufato. Elia ha quindi cacciato Cinzia e il suo fidanzato Gualtiero, l’altro halfling scomparso, mandandoli a casa per evitare facessero altri danni o facessero perdere tempo agli altri servitori. Da allora non li ha più visti né avuto notizie di loro. Altri servitori della locanda hanno confermato questa versione e nei dintorni dell’edificio non abbiamo scoperto nulla di utile. L’ultimo luogo che ci è restato da controllare è stato il presidio delle milizie da dove era scomparsa una guardia. Situato nella zona più esterna di Barcola, sopra una piccola salita, il grosso torrione in pietra ricoperto di rampicanti aveva una buona posizione per controllare le strade e i dintorni. Le torce perimetrali erano tutte accese, come da regolamento delle guardie cittadine. Giunti nel presso dell’edificio, due guardie ci hanno riconosciuto, andando a chiamare immediatamente l’ufficiale di turno. Un omone massiccio, con un taglio militare, si è presentato a noi come ‘Tenente Jure’. Stava ancora masticando e aveva in mano un cosciotto di cinghiale, caccia fresca, a quanto ci ha detto offrendosi di condividerla con noi. Invitato gentilmente a ricomporsi e fare rapporto, ci ha riferito che la guardia scomparsa, un umano di nome Carlo, si era recato durante il turno di notte precedente a darsi una lavata al pozzo dietro al presidio e da allora era sparito.
Alla mia richiesta di ulteriori dettagli, su come mai si stesse lavando in piena notte, il tenente ha aggiunto che erano rientrati da una battuta di caccia in cui avevano catturato il cinghiale, che ora stava arrostendo, e tutti si erano sporchi di terra e di sangue dell’animale.Controllando il luogo della sparizione, un piccolo giardino utilizzato come area di addestramento, il baldo cacciatore Cigotti ha insistito profusamente per venir calato nel pozzo a controllare. Qui ha fortuitamente rinvenuto un medaglione, riconosciuto come appartenente a Carlo, ma nessuna traccia del cadavere o segni particolari che permettessero di ricostruire la dinamica degli eventi. Ormai ci era chiaro che dietro le sparizioni dovesse esserci un qualche mostro, o più d’uno data la frequenza degli attacchi, e che ad attirarli era il sangue. Supponendo una predilezione delle creature per gli halfling, un intrepido servitore di tale genia della famiglia Cigotti si è offerto volontario per fare da esca per le creature. Qualcuno potrebbe riferire che non fosse propriamente volontario, ma sono solo illazioni infondate che macchiano l’onore di un tale gesto. Dato che è compito di un Nobile tutelare la vita dei servitori, anche di razze inferiori, ho suggerito un’idea. Sfruttando le funi di cui eravamo provvisti, dei contrappesi e il poco peso del halfling, abbiamo costruito un rudimentale meccanismo per cui, tagliando una fune al momento opportuno, l’halfling sarebbe stato sollevato in alto, fuori dalla presunta portata dei mostri.
Il nostro capocaccia si è riunito con gli altri e tutti hanno approvato il piano. Il nostro gruppo avrebbe fatto da esca per le creature, mentre gli altri avrebbero atteso il momento opportuno per un movimento a tenaglia, chiudendo eventuali vie di fuga ai mostri.
Il piano ha funzionato: il sangue del halfling ha attirato fuori dal mare delle creature, degli abomini dalle fattezze umane, bipedi ma dall’andamento curvo, come se non fossero abituati a muoversi sulla terraferma. Mani palmate, branchie ai lati del collo e una pelle quasi squamosa in alcuni punti tradivano una natura marina, o meglio anfibia. Abomini, certo figli di una qualche malefica forza che ha cercato di scimmiottare la forma umana. Il loro numero era grande, ma non abbastanza per sopraffare degli abili Cacciatori. Dalla mia posizione sopraelevata, ero in vantaggio. Mi ero infatti appostata sui rami di un grosso pino. Sono riuscita a seguire l’andamento della battaglia e le eroiche gesta dei Cacciatori, dando il mio contributo coprendo chi era in difficoltà con precisi dardi del balestrone.
Non riporterò tutti i particolari della lotta, non sono particolarmente utili ai fini di questo mio diario, ma in breve tempo tutte le creature sono state massacrate. Prestate le prime cure ai Cacciatori feriti, diversi hanno sottolineato la necessità di trovare il covo di questi esseri, al fine di assicurarci che non ne fossero rimasti altri. Io e alcuni altri Cacciatori, i più abili a seguire le tracce, siamo riusciti a seguire a ritroso la pista lasciata dalle creature fino a trovare parzialmente celata l’entrata di un sistema di caverne, vicino alla costa. Per nostra fortuna, nelle anguste caverne cresceva un peculiare fungo violaceo, capace di generare una luminescenza bluastra, abbastanza intensa da consentirci di vedere senza aver bisogno di torce. Dopo un breve tratto di strada in cunicoli stretti e umidi, siamo giunti tutti in un’enorme grotta, ampia più di un centinaio di metri, piena di una fetida aria ammorbata da un tanfo di carogna. L’acqua salmastra ci arrivava fino alle caviglie. Non abbiamo fatto in tempo a prepararci che altre orride creature sono sbucate fuori da altri cunicoli laterali e da pozzi subacquei celati sul fondo della caverna. Evidentemente erano state allertate dal baccano fatto dai più goffi di noi Cacciatori e ci hanno teso un agguato, chiaro indice di intelletto e coordinazione.
Il combattimento è stato confuso e lungo, in quanto in molti erano provati dallo scontro precedente. Il luogo chiuso e buio, il sovraffolamento e il pavimento scivoloso hanno avvantaggiato le creature. Non avendo spazio per usare il balestrone, ho optato per la balestra a mano, sfruttando la mia naturale agilità per tenere sempre altri Cacciatori tra me e gli orridi abomini.
Quando anche le ultime delle creature sono infine spirate abbiamo potuto controllare meglio la caverna, trovando un mucchio di resti, scheletri dalle ossa mangiucchiate e spolpate sulle quali si vedevano ancora resti di carne, tendini e vestiti. A giudicare dal numero di ossa, e dal loro stato, oltre agli scomparsi dovevano esserci state altre vittime, evidentemente non segnalate.
Numerosi Cacciatori hanno deciso di prendere dei trofei di questa battaglia, tagliando artigli e denti delle aberrazioni. Hanno raccolto anche delle collane di conchiglie, orridi monili ricoperti da strani simboli tribali indossati dagli esemplari più grossi. Io non ho preso nulla di ciò, il mio trofeo é stata l’occasione di vedere tanti Cacciatori all’opera. Ho preso accuratamente nota di cosa hanno detto e fatto. A caccia conclusa, rientrati in città, mi sono riunita con gli altri membri della mia Famiglia. Abbiamo incrociato le informazioni raccolte e abbiamo riportato tutto ciò che poteva essere utile nel Telaio. Inoltre abbiamo aggiornato il Libro dei Rancori, seppure solo per motivi lievi. Ma i Padovini non dimenticano nessuna offesa.
Ho deciso di tenere questo diario privato per annotare quanto succede durante la caccia. L’amnesia dovuta al Rimembranza andata male sembra sospetta, dato che nessuno sembra sapere le circostanze della morte di così tanti Cacciatori. Non si può avere fiducia nell’ipocrisia del Dogma, come ancora una volta ci è stato dimostrato. I Registri Tabulari sembrano inoltre essere stati manomessi, ma su questo occorreranno future indagini. Ora che ho completato il resoconto posso andare a riposare. Molte Cacce ci aspettano e sono chiamata a vigilare non solo sui nemici esterni alle mura, ma anche a quelli che si celano al loro interno.
Io sono la Tessitrice, artigiana del Telaio. Io scruto le trame tra le bugie e le voci della Città e ne tesso di nuove, manovrando tra le ombre gli eventi finché tutto non sarà svelato e l’ordine ripristinato.
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